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sabato 27 aprile 2013

IL CORPO DI SCHUMANN per pianoforte e video-proiezioni (2013)

Luogo e data da definire

IL CANTO DELL’INFANZIA (video 1)
video da
Il cielo sopra Berlino di W. Wenders
testo dal
Canto dell’infanzia di P. Handke
voce di Francesco Gerardi

Op. 15. SCENE INFANTILI (1838)

IL CORPO DI SCHUMANN (video 2)
video da
Tetsuo di S. Tsukamoto
testo da
Rasch di R. Barthes (in L’ovvio e l’ottuso)
voce di Francesco Gerardi

Op. 16. KREISLERIANA (1838)

COME VAN GOGH (video 3)
video da
Sogni di A. Kurosawa
testo da
La generazione romantica di C. Rosen
voce di Daniela Cappellato

Op. 17. FANTASIA (1835-36)

LA CITAZIONE SVELATA (video 4)
video da
Il ritratto della signora Yuki di K. Mizoguchi
testo del lied
Nimm sie hin denn, diese Lieder di A. Jeitteles
voce di Nicolò Polesello

Più che per qualsiasi altro compositore, la comprensione profonda dell’opera di Robert Schumann sfugge completamente a qualsiasi metodo analitico. Questo perché la natura più intima delle sue composizioni non è estetica - cioè non può essere spiegata come un meccanismo o una struttura da smontare - ma organica - simile al corpo che si emoziona, che si piega, scatta e si distende reagendo alle sue sensazioni. Tutto ciò è in controtendenza rispetto alla necessità del linguaggio musicale - così poco corporeo - di darsi astrattamente forme e strutture riconoscibili, e di conseguenza pone un problema divulgativo: come può essere spiegata una musica refrattaria alle spiegazioni? È “sintomatico” - verrebbe da dire - che i testi critici riguardanti l’opera di Schumann spesso evitino un tradizionale approccio tecnicistico, a favore di una descrizione più liberamente associativa - ed in particolare, più visiva - delle sue composizioni, intese come organismi, come corpi. Dei quattro testi scelti e adattati per questo recital, solo il secondo e il terzo (Barthes e Rosen) sono dedicati espressamente a precise composizioni (Kreisleriana e Fantasia), mentre il primo (Handke) può essere considerato semplicemente “vicino” alla poetica delle Scene infantili, e l’ultimo non è che il testo di un Lied di Beethoven citato musicalmente da Schumann nella Fantasia. Eppure ognuno di questi testi esprime una sorta di “vocazione” alla corporeità: al corpo ricordato nelle immagini al contempo nostalgiche e concrete del Canto dell’infanzia di Handke; al corpo in tensione delle otto “epilettiche” Kreisleriana raccontate da Roland Barthes in Rasch; al corpo estraneo beethoveniano del Lied citato da Schumann nella Fantasia - innesto che sembra un trapianto, per come lo descrive Charles Rosen ne La generazione romantica; e infine al corpo desiderato dell’amata lontana nei versi di Jeitteles utilizzati da Beethoven per il Lied che Schumann cita, ma solo musicalmente, omettendo in effetti proprio il testo che, taciuto nella Fantasia, sembra assumere il significato di una dedica comprensibile solo alla fidanzata Clara. I testi hanno una funzione evidentemente introduttiva all’ascolto dei cicli pianistici che anticipano, ma si presentano associati ad estratti cinematografici che di contro non hanno direttamente a che fare con la musica. Se infatti l’approccio analitico (la spiegazione diretta) non raggiunge la sfuggente opera di Schumann, allora questo approccio lo si può “travestire” secondo il processo onirico che Freud chiama drammatizzazione (per cui nel sogno, i pensieri latenti vengono trasformati - o meglio, “censurati” - in immagini). Di fatto gli estratti cinematografici costituiscono in prima battuta un allontanamento dal contenuto dei testi, ma solo per incapsularlo in una forma afferrabile, concreta. Così, in questa psicanalisi schumanniana, gli spasmi musicali delle Kreisleriana descritti in Rasch diventano visibili nelle convulsioni corporee del Tetsuo di Shinya Tsukamoto; l’assimilazione della citazione beethoveniana nella Fantasia diventa la trasformazione in scenografia di un quadro di Van Gogh in Sogni di Akira Kurosawa; e l’amata lontana di Jeitteles assume i tratti orientali della Signora Yuki di Kenji Mizoguchi. Solo per il Canto dell’infanzia la parentela con Il cielo sopra Berlino è dichiarata: la poesia di Peter Handke fa parte infatti della sceneggiatura del film di Wim Wenders. Negli altri tre video, il gioco associativo testo/film è invece rigorosamente arbitrario, e ha il pregio di svelare il bagaglio visivo e l’insieme di suggestioni altrimenti insospettabili che sottendono immancabilmente il tratto interpretativo del musicista che esegue. Inoltre i quattro video assumono inevitabilmente la funzione di un sipario virtuale che in realtà riesca ad unire i tre cicli pianistici in un unico blocco esecutivo senza interruzioni, come una trifora di opere contigue, opp. 15, 16, 17. Ma lo scopo del gioco resta quello di corrispondere ai quattro testi altrettanti corpi-proxy! Corpi di stoffa! Non i “reali” corpi a cui i testi anelano - le composizioni vere e proprie, i tre cicli pianistici - ma immagini filmiche come bambole in un mondo in miniatura dove il salto dal testo al corpo-film risulti facile per lo spettatore. Ma questo salto su scala ridotta è solo propedeutico al salto più ampio e complesso, quello dal testo all’ascolto effettivo dei tre cicli pianistici, dal testo al corpo-musica, il corpo di Schumann.

Pianoforte: Adriano Castaldini
Luci: Elisabetta Griguol
Ideazione, Montaggio, Programming Video: Adriano Castaldini
Consulenza cinematografica: Claudia Barolo
Maestro preparatore: Maresa Majone
Logistica: Alessandro Coin
Steinway D-274 della ditta Zin (www.zinpadova.it)
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martedì 20 marzo 2012

F. CHOPIN, UNA RICOSTRUZIONE DELL'ULTIMA MAZURCA seminario (29-3-2012 / 2-5-2012)



giovedì 29 marzo 2012 ore 17.00
Auditorium "C. Pollini", via Carlo Cassan 17, Padova

REPLICHE:

giovedì 5 aprile 2012 ore 15.00
Auditorium, Istituto Lazzari, via Curzio Frasio 27, Dolo

mercoledì 2 maggio 2012 ore 15.00
Sala dei Giganti, Palazzo Liviano, Piazza Capitaniato 7, Padova


Ingresso libero


Nel 1955, il ritrovato autografo della Mazurca op. 68 n. 4 (pubblicata postuma) rivela un’intera sezione omessa dal primo editore. Si tratta di una ragnatela di linee che suggerisce un ordine sequenziale delle battute annotate in ordine sparso sulla pagina. Tra gli anni ’60 e ’80 alcuni revisori e musicologi si sono cimentati nel tentativo di ricostruire coerentemente la mazurca.
Adriano Castaldini introduce storicamente la cosiddetta “ultima mazurca”, descrive battuta per battuta la sua ipotesi ricostruttiva (pubblicata nel 2012) nella quale è integralmente utilizzato il materiale omesso nella prima edizione, e illustra le moderne tecniche di digitalizzazione dell’immagine utilizzate per analizzare il manoscritto originale e correggere gli errori delle precedenti edizioni. Segue l’esecuzione della nuova versione della mazurca.

Relatore e pianista: Adriano Castaldini

SCARICA LA PARTITURA DELLA MAZURCA RICOSTRUITA: F. Chopin, Mazurka in F minor Op. 68 No. 4, revised version by Adriano Castaldini

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giovedì 24 febbraio 2011

TU IMMAGINI... LA SONATA DI LISZT per pianoforte e video-proiezioni (5-4-2011)



Auditorium del Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani 7, 30174 Mestre (VE)
Centralino: 041 2386111

5 aprile 2011 ore 21.00
Ingresso: 6 euro (raccolta fondi)

Il 2011 è il bicentenario della nascita di Liszt. La Sonata in Si minore (1853) è considerata il suo capolavoro pianistico: architettura a moduli che si ordinano senza soluzione di continuità in un unico grande movimento. Nella forma-sonata, la possibilità dell’ascoltatore di districarsi nella struttura compositiva dipende dalla riconoscibilità dei temi (similmente ai personaggi in un romanzo). Nella Sonata in Si minore, le continue variazioni e frammentazioni dei molti temi, spesso incastrati come pezzi del Tetris, producono un labirinto nel quale l’ascoltatore non riesce ad orientarsi.
Per introdurre quest’opera, un approccio storico si limiterebbe a definirne il “contesto”, senza di fatto svelarne i meccanismi musicali. Di contro, un approccio analitico affronterebbe efficacemente gli aspetti compositivi, ma la specificità del linguaggio analitico risulterebbe comprensibile solo ad una ristretta parte del pubblico.
Ho così pensato ad un terzo tipo di approccio, associando ai cinque temi della Sonata altrettanti “oggetti visuali”, cioè fotogrammi estrapolati da circa duemila film, alterati al computer e ordinati in categorie: il tempo, l’uomo, il fuoco, la torre, la sposa. Al contrario di ciò che avviene per l’oggetto musicale e sonoro, l’oggetto visuale, anche quando viene alterato o ritagliato, resta riconoscibile. Perciò, ad ogni entrata tematica, comparirà sullo schermo l’oggetto visuale corrispondente, frammentandosi o sovrapponendosi ad altri oggetti visuali a seconda di come si presentano le “vicende” in partitura. La novità sta nel fatto che qui le immagini cinematografiche non descrivono emotivamente o narrativamente la musica, ma costituiscono una guida alla comprensione dell’intreccio tematico e della struttura compositiva.
Per mantenere in sincrono musica e immagini, al pianista si affianca un secondo esecutore che controlla le entrate degli spezzoni con una tastiera dove ogni tasto è dedicato ad un diverso video.


Pianoforte: Adriano Castaldini
VJ keyboard: Nicolò Agostini
Ideazione, Montaggio, Programming Video: Adriano Castaldini
Consulenza cinematografica: Claudia Barolo
Maestro preparatore: Maresa Majone
Logistica: Alessandro Coin, Gabriele Grandesso
Steinway D-274 della ditta Zin (www.zinpadova.it)

Progetto per le scuole
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lunedì 22 febbraio 2010

IL PRIVATO L'INTIMO IL SOTTRATTO per pianoforte e live-electronics (5-4-2010)


Teatro "Dario Fo" (Camponogara)
ore 20.30 (ingresso libero)
locandina e wallpaper
VIDEO DEL CONCERTO

IL PRIVATO L'INTIMO IL SOTTRATTO è una lezione-concerto a carattere sperimentale dove il live-electronics s'inserisce come parte integrante l'interpretazione pianistica. Affiancare l'elettronica ad uno strumento tradizionale e al repertorio classico non è cosa nuova, ma quasi sempre è la prima ad imporre la propria "logica", trattando il "linguaggio" interpretativo allo strumento come "fisico" evento acustico, e spostando quindi la "lettura" dell'ascoltatore sulla "superficie" concreta del suono. In parole povere, l'elettronica si "mangia" l'interpretazione. In questo concerto, invece, è l'elettronica ad essere mangiata, diventando una filigrana nel linguaggio interpretativo. Ma mentre l'interpretazione tende ad "universalizzarsi" - rivolgersi al "mondo", l'oggetto tecnico è più efficace nel rimanere aderente ad un'immagine privata (è la differenza tra il ritratto e la foto-ricordo). L'immagine privata è mio padre, e gli oggetti tecnici sono la sua voce registrata, la prima ecografia della sua malattia, i riverberi delle stanze nelle quali ho potuto assisterlo negli utlimi mesi di vita. Un'elettronica "a programma", quindi, che àncora il privato come satellite "fuori campo" in grado di esercitare la sua gravità su tutto il concerto.

Software utilizzati: PureData, Apple Logic Pro, Ableton Live.
Patch, tutorial e video saranno liberamente scaricabili dal mio sito a breve subito dopo il concerto.

PARTE 1/3: SCHUMANN | KREISLERIANA

In italiano privato è un aggettivo e un verbo: è sinonimo di intimo - ciò che abbiamo di più personale - e sottratto - qualcosa che ci è stato tolto... curiosamente, sono due sinonimi in apparente antitesi. In uno dei suoi ultimi saggi, Roland Barthes definisce "privata" la scrittura di Schumann, indovinando una riluttanza della sua musica a rendersi pubblica, ad emanciparsi. L'opera "autonoma" si esterna gestualmente, "recitandosi" (Pessoa: "Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente...") Invece, nei suoi oltre trenta minuti di musica, Kreisleriana non è mai epica, non esprime grandezze tragiche, non assume posa filosofica. L'opera "autonoma" si compone (... e si compiace!) in strutture formali intelligibili, mentre con Kreisleriana per l'ascoltatore è problematico persino distinguere gli otto brani in cui si snoda... contarli! Un po' come il vestito sul tavolo del sarto, Kreisleriana è "disposta"... non "composta". In Schumann le costanti linguistiche non sembrano contestate, ma svuotate, appese ad una sagoma di logicità (il pensiero del folle): linee contrappuntistiche si inspessiscono e poi si assottigliano imprevedibilmente come fumo di sigaretta, cadenze si moltiplicano replicando come virus il loro schema sempre più lontano dalla tonalità di partenza. E in questa deriva emergono fantasmi chopiniani, beethoveniani, lisztiani, brahmsiani (e "presagi" di Skrjabin, di Gershwin persino!), quasi citazioni... quasi! Perché se cercassimo il preciso brano a cui il frammento di Schumann farebbe riferimento, scopriremmo che non esiste. E sempre, frase dopo frase, la sensazione è di aver già sentito tutto, ricordarlo... E' un tarlo nel cervello: "da lontano" i temi degli otto Kreisleriana appaiono variazioni l'uno dell'altro, ma è solo un miraggio: "da vicino", confrontandoli, di materiale in comune resta poco o niente. L'analista ha la sensazione che "l'originale" sia scivolato tra le dita come sabbia. Kreisleriana non si "licenzia", il privato è incapace di autonomia. Non possiamo rivolgerci direttamente all'opera perché la stoffa conserva ancora i tratteggi fatti col gesso e i fili d'imbastitura: il nostro riferimento obbligato resta Schumann - il laboratorio del sarto. Lo studio di Kreisleriana è un viaggio nel flusso dei suoi pensieri, è correre sulla superficie della sua immaginazione musicale. Ma come per un incantesimo, fuori dai suoi confini privati, Kreisleriana s'imbroncia. Nell'atto di tradurla gestualmente, di recitarla, di eseguirla "pubblicamente", appare espressivamente inefficace, strutturalmente dispersiva, "mal scritta" insomma. E Roland Barthes c'azzecca ancora quando scrive "Schumann fa ascoltare la sua musica solo a chi la suona, anche se male". In poche parole, il problema è questo: come posso portare a teatro gli otto Kreisleriana senza spostarli dalle stanze in cui li ho immaginati?
... portando le stanze a teatro! Ho cominciato a pensare un'interpretazione di Kreisleriana lontano dal pianoforte, nelle stanze in cui sono stato accanto a mio papà nei quattro mesi della malattia: casa nostra, le sale d'attesa in ospedale, la stanza della chemioterapia... Attorno ad un ammalato di cancro non c'è molto rumore: una sedia che si sposta, il motorino di un respiratore... I pochi suoni piombano nel silenzio come rintocchi. Nei riverberi di quelle stanze immaginavo di immerge Kreisleriana... frase dopo frase. Per questo concerto ho campionato i riverberi di sei stanze: il soggiorno di casa nostra, la camera da letto di mio padre, il piccolo stanzino dove dipingeva, la sala d'attesa di medicina dove mi disse che aveva un tumore, la stanza della chemio, la camera d'ospedale dove ho sentito il suo ultimo respiro. Registrare un riverbero non è come registrare un suono, è registrare la "risposta" acustica di una stanza, il suo particolare tipo di eco. Fa la differenza tra sentire una moneta che cade in uno sgabuzzino, e la stessa moneta che cade in un tunnel. Per campionare il riverbero di una stanza si emette un impulso sonoro con un amplificatore, cosicché impulso e "risposta" della stanza entrino nel computer attraverso i microfoni. Poi il computer fa i calcoli e isola la "risposta" dall'impulso. E infine si ottiene un filtro che può essere utilizzato in tempo reale. (E' un gioco in cui si può anche "barare", infatti ho ottenuto il riverbero di altre due stanze manipolando due suoni concreti: la voce registrata di mio papà e il suono di un ascensore sentito in ospedale.) In pratica associando otto diversi riverberi agli otto brani di Kreisleriana sarà come ascoltare il pianoforte in "quelle" stanze. La piccola tastiera MIDI appoggiata al leggio del pianoforte servirà proprio a questo scopo: otto tasti invieranno al computer il comando per caricare un diverso riverbero per ogni brano. Il senso di questa operazione è che non voglio ricordare mio padre suonando Schumann... ma portarvi fisicamente dov'ero insieme a lui.

PARTE 2/3: SKRJABIN | VERS LA FLAMME

Il più delle volte, il titolo di un brano musicale ci dice cosa dobbiamo aspettarci, ci dà un'indicazione di massima sulla forma: una sonata avrà i suoi due temi ben distinti che dopo essersi presentati nell'esposizione si romperanno le ossa nello sviluppo per poi fare la pace nella ripresa, una fuga invece mette subito in chiaro il suo soggetto che viene imitato senza tante discussioni da tutte le altre voci e tutto funziona come un orologio svizzero. Skrjabin intitola uno dei suoi ultimi brani (quasi il suo "testamento") Vers la Flamme, Verso la Fiamma... La prima domanda: che diavolo di forma è? E la seconda domanda: di che fiamma stiamo parlando? Non saranno le fiamme dell'inferno: quelle sono tante e questa è una fiamma sola... Ma potrebbe riferirsi al fuoco di Prometeo, ad un simbolo religioso, alla cremazione... Com'è fatta una fiamma? Non ha una forma precisa perché cambia di continuo, si trasforma ad ogni istante. Sarà per questo che dei quattro elementi fondamentali secondo i primi filosofi (insieme all'aria, l'acqua e la terra) il fuoco, come "elemento", convince meno! Più che una "cosa", il fuoco è un "processo": combustione. Per Eraclito (duemilacinquecento anni fa) questo processo è la sostanza del mondo, perché tutto scorre, tutto cambia. Pensava fosse illusorio cercare l'essenza delle cose: possiamo solo dire com'è una data cosa in un preciso istante, ma proprio mentre lo stiamo dicendo quella cosa sta già cambiando ("a chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove"), e cambiano i visi, i corpi... Non vediamo "cose", ma assistiamo a mutamenti istante dopo istante. Per Skrjabin (appena cent'anni fa) questo processo in musica è l'equivalente della variazione. Non variazioni su un tema, che è una forma, dove il tema è "l'originale", "essenza" di ciascuna variazione. Skrjabin è invece interessato ad un processo di variazione continua, dove "l'originale" sia sottratto, non ci sia "inizio", e ogni mutazione sia solo una nuova ipotesi. E' un film che comincia con un treno in corsa, non possiamo dire da dove quel treno sia partito, o da quanto tempo (non La Flamme, ma Vers la Flamme... ci stiamo muovendo!) Ma anche sottraendo temi e soggetti non si risolve il problema di far "muovere" la composizione, farla diventare un flusso. Skrjabin ci arriva con uno stratagemma molto arguto: inventa un accordo non rivoltabile... ed è tutto il materiale che gli serve, per l'intera composizione! Tutti gli accordi nel sistema tonale possono essere rivoltati come figure geometriche: un triangolo che poggia sull'ipotenusa può essere rovesciato su un cateto restando sempre lo stesso triangolo, un uomo che cammina sulle mani è semplicemente un uomo a testa in giù! Così un accordo, rivoltato sotto-sopra rimane se stesso. Non l'accordo di Skrjabin. Cambiando la disposizione delle sue sei note cambia identità, cambia nome persino! E "spinge" verso direzioni diverse, verso qualsiasi altro accordo, e quindi anche verso se stesso. E' talmente disomogeneo al suo interno che tende a disgregarsi in parti autonome, ognuna con una propria "andatura", fino a frantumarsi in movimenti vorticosi, rilasciando grandi quantità di energia sonora (come per la combustione, tranne che lì l'energia è termica). E' impossibile descrivere queste mutazioni continue senza usare aggettivi sinestetici come "livido", "luminoso", "tetro", "liquido", "metallico"... come se Skrjabin non volesse limitarsi a comporre con i suoni, ma cercasse di trasformarne il timbro stesso, come faremmo oggi con un equalizzatore... quasi!
Il suono può essere immaginato come una superficie. Può avere una luminosità uniforme - bianco per tutte le frequenze del suono sollecitate, nero per le frequenze azzerate, e varie gradazioni di grigio per un suono via via più intenso. Ma può avere una luminosità a macchie - zone più chiare per alcune frequenze accentuate, zone più scure per le altre frequenze tagliate. Fa la differenza tra sentire una voce a telefono, e la stessa voce di persona. Uso un televisore in sala per far vedere la prima ecografia di mio padre, la prima in cui il tumore si presenta. 4 dicembre dell'8. E' così esteso che nemmeno l'ho riconosciuto... credevo che il bianco disseminato fosse un riflesso sull'immagine. E stava correndo come un treno, partito chissà da cosa, chissà da quanto. Ho suddiviso Vers la Flamme in dieci settori, per ogni settore una diversa equalizzazione, una diversa "tinta". Ma queste equalizzazioni arriveranno direttamente dall'ecografia. Questa volta, dieci tasti MIDI corrispondono ad altrettanti movimenti dell'ecografia - movimenti di rotazione, ingrandimento e traslazione della superficie. Il computer farà corrispondere il livello di luminosità di alcuni punti dell'immagine con l'intensità nei diversi strati dello spettro sonoro. In pratica le diverse inquadrature dell'ecografia diventeranno in tempo reale le diverse equalizzazioni con cui il suono del pianoforte verrà amplificato in sala. Il senso di questa operazione è suonare di cancro - il suono come un allarme che increspa la superficie del silenzio - costringendolo a mostrarsi.

PARTE 3/3: PART | SPIEGEL IM SPIEGEL

In terza media mi trovano una scoliosi allarmante che si sarebbe tradotta in ore giornaliere di ginnastica correttiva, il resto del tempo è per il pianoforte, ma c'è il liceo da affrontare. Così mio papà s'ingegna di registrare sui vecchi "nastri" capitoli di storia, filosofia, letteratura... leggendo ad alta voce, per poi farmeli ascoltare a cena, come la radio! Quando ho cominciato a pensare di preparare questo concerto non avevo un progetto preciso in mente, non sapevo cosa ne avrei tirato fuori, sapevo solo che avrei suonato Kreisleriana. Poi riascolto questi nastri, e spunta fuori la biografia di Schumann letta da mio padre, ed è come vedere il cerchio che si chiude! Decido di concludere con questo frammento, ma non ho idea di come inserirlo in un brano di repertorio. E poi sento questo pezzo per violino e pianoforte, Spiegel im Spiegel, di Arvo Part. Lo "specchio nello specchio" è la struttura del brano: la progressione infinita della stessa immagine, sempre più distante. Dal LA centrale, le note divergono a specchio, sempre più acute e sempre più gravi. Si allontanano... ma sono sempre la stessa nota, più piccola. Eppure non si ha percezione di questo processo: tutto si muove ad una lentezza tale da "stringere" sui singoli istanti, una nota per volta che di ogni istante diventa il nome, l'intimo suono. Ma per suonare Spiegel im Spiegel non basta il pianoforte, ci serve un violino...
L'idea mi viene ricordandomi che Schumann componeva traducendo parole (un nome, una città...) in sequenze di note, semplicemente in virtù del fatto che nei paesi di lingua tedesca queste corrispondono a lettere dell'alfabeto. Così l'idea è questa: non tradurre una parola pronunciata da mio papà in una serie di note, ma modificarla timbricamente, filtrandola con l'elettronica, fino a farla somigliare al suono di uno strumento ad arco - il violino di Spiegel im Spiegel. E la parola "Schumann" è perfetta: lo "sch..." iniziale a simulare lo sfregamento della corda che viene messa in vibrazione dall'arco, il "...ma..." centrale per l'intonazione, e l'"...nn" finale per il vibrato. Questo suono viene poi inviato dal computer alla testiera MIDI per intonarsi alle note della scala. Il senso dell'operazione è suonare con mio padre, dal vivo, con quanto di più fisico mi rimane di lui: il corpo sonoro della sua voce, privato perché intimo, e privato perché sottratto.
Ho sentito l'ultimo respiro di mio padre, e ora voglio regalargliene uno nuovo.

RINGRAZIAMENTI

E' tradizione in alcuni paesi che l'abito della sposa sia cucito da tutte le donne del villaggio, così il matrimonio diventa una festa della comunità. Avevo immaginato questo concerto nello stesso modo: la preparazione di una festa dove poter raccogliere il calore di tutti gli amici che hanno amato mio padre. E' impossibile elencarli tutti... Tina che ha confezionato gli accessori per farmi indossare microfoni e campionare "in incognito" il riverbero di alcune sale, e V. che ha costruito i piccoli banchi smontabili per il computer e gli altri aggeggi elettronici in sala, e Adriano Zin che porterà il suo gran coda Steinway, e mio cugino Ale per l'aiuto stampa, e Marcello per l'aiuto logistico, e lo stupendo Gabri per esserci sempre, e la Cri per i suoi "occhi" preziosi, e il mitico Ste Gajon per il supporto tecnico (e per essercele date di santa ragione alle medie), e il genio di Maresa Majone che ha rimesso con costanza sapienza e generosità la mie mani sul pianoforte, e poi tutti gli altri... Infine mia mamma, timone sicuro tra le onde più alte.
Ma questo concerto è anche la mia terapia per superare un lutto opprimente, e per conciliare il mio difficile passato pianistico con il mio presente di insegnamento ed elettronica. Anzi, per riafferrarlo il presente, ancora avanti di un passo.


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